Ecco alcune testimonianze di alcuni protagonisti:
"Noi 'volliamo' permesso di soggiorno", intonano. In italiano, tamburellato, scandito con ritmo africano, come una litania infinita. Lo scandiscono da anni.
"Casa, lavoro, libertà di culto e soggiorno per tutti, non solo per chi pulisce le case e cambia i pannoloni. No al razzismo, no al reato di clandestinità".
Sono cento, duecentomila. Una fiumana che a sera ancora continua a scorrere per le vie di Roma: "Abbiamo riempito questa città, abbiamo dimostrato che questo paese ha un memoria, noi siamo la sua memoria e siamo anche il suo futuro, siamo la società che vuole cambiare questa Italia".
Visi neri, occhi scuri stanno ad ascoltarla. È la loro voce quella che dal palco arringa, interroga, accusa, incalza.
Questo paese che "ha conosciuto la tragedia collettiva dei migranti, come mai tira fuori tutto questo accanimento nei confronti dei migranti, nei confronti dei gay, nei confronti dei musulmani, come mai milioni di noi vengono discriminati e non commettono reato come sarebbe il falso in bilancio o corrompere i giudici per poi coprirsi con il lodo, questo degrado culturale è il cancro del paese, è la malattia, non la soluzione".
"Negli anni cinquanta i neri dovevano cedere il posto ai bianchi sull'autobus, oggi salgono non solo sul pullman ma anche alla Casa Bianca".
"La vita di un essere umano non equivale a un permesso di soggiorno".
"Si alla regolarizzazione di tutti e tutte. No al razzismo, al reato di clandestinità e al pacchetto sicurezza". La piattaforma è tutta lì sugli striscioni che aprono un corteo dove sventolano le bandiere dell'Arci, della Cgil, dei Cobas, dell'Arcigay, ma di cui i migranti vogliono essere protagonisti.
Bridget, nigeriana, 35 anni, da venti in Italia. Qui ha studiato, qui lavora. Fa l'assistente sociale. "Io sono clandestina", ha scritto sulla maglietta rossa. Anche se clandestina non lo è più. Dal 2003 è diventata cittadina italiana. E ora lotta per gli altri. Con l'associazione delle donne nigeriane, con la diaspora africana, sull'onda di Obama "per modificare l'immagine del nero e dell'immigrato".
Per lei nell'Italia degli anni '90 non è stato facile ma ora è peggio: "Vent'anni fa c'era almeno la possibilità nel tempo di inserirsi, adesso no, non riesci nemmeno a rinnovare il permesso di soggiorno. L'Italia è peggiorata perché si è messa a discriminare tra i diritti degli altri e quelli degli immigrati, che sono tagliati fuori dal welfare, non hai diritto alla casa, non hai diritto a niente, se perdi il lavoro diventi clandestino".
"Sono venuto in Italia a due anni, ne ho ventidue, sono italiano, vorrei esserlo anche per lo Stato".
In tasca per ora ha un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Con quello studia, storia a Venezia, e lavora per mantenersi. Ma non è la stessa cosa che avere la cittadinanza italiana. Quella non ce l'hanno né lui che il 25 aprile era in piazza con i partigiani a leggere le lettere dei condannati a morte della resistenza italiana né suo padre che lavora alla Fincantieri, né sua madre.
"E' un paradosso, io in questo Paese non posso nemmeno votare".
"Noi 'volliamo' permesso di soggiorno", intonano. In italiano, tamburellato, scandito con ritmo africano, come una litania infinita. Lo scandiscono da anni.
"Casa, lavoro, libertà di culto e soggiorno per tutti, non solo per chi pulisce le case e cambia i pannoloni. No al razzismo, no al reato di clandestinità".
Sono cento, duecentomila. Una fiumana che a sera ancora continua a scorrere per le vie di Roma: "Abbiamo riempito questa città, abbiamo dimostrato che questo paese ha un memoria, noi siamo la sua memoria e siamo anche il suo futuro, siamo la società che vuole cambiare questa Italia".
Visi neri, occhi scuri stanno ad ascoltarla. È la loro voce quella che dal palco arringa, interroga, accusa, incalza.
Questo paese che "ha conosciuto la tragedia collettiva dei migranti, come mai tira fuori tutto questo accanimento nei confronti dei migranti, nei confronti dei gay, nei confronti dei musulmani, come mai milioni di noi vengono discriminati e non commettono reato come sarebbe il falso in bilancio o corrompere i giudici per poi coprirsi con il lodo, questo degrado culturale è il cancro del paese, è la malattia, non la soluzione".
"Negli anni cinquanta i neri dovevano cedere il posto ai bianchi sull'autobus, oggi salgono non solo sul pullman ma anche alla Casa Bianca".
"La vita di un essere umano non equivale a un permesso di soggiorno".
"Si alla regolarizzazione di tutti e tutte. No al razzismo, al reato di clandestinità e al pacchetto sicurezza". La piattaforma è tutta lì sugli striscioni che aprono un corteo dove sventolano le bandiere dell'Arci, della Cgil, dei Cobas, dell'Arcigay, ma di cui i migranti vogliono essere protagonisti.
Bridget, nigeriana, 35 anni, da venti in Italia. Qui ha studiato, qui lavora. Fa l'assistente sociale. "Io sono clandestina", ha scritto sulla maglietta rossa. Anche se clandestina non lo è più. Dal 2003 è diventata cittadina italiana. E ora lotta per gli altri. Con l'associazione delle donne nigeriane, con la diaspora africana, sull'onda di Obama "per modificare l'immagine del nero e dell'immigrato".
Per lei nell'Italia degli anni '90 non è stato facile ma ora è peggio: "Vent'anni fa c'era almeno la possibilità nel tempo di inserirsi, adesso no, non riesci nemmeno a rinnovare il permesso di soggiorno. L'Italia è peggiorata perché si è messa a discriminare tra i diritti degli altri e quelli degli immigrati, che sono tagliati fuori dal welfare, non hai diritto alla casa, non hai diritto a niente, se perdi il lavoro diventi clandestino".
"Sono venuto in Italia a due anni, ne ho ventidue, sono italiano, vorrei esserlo anche per lo Stato".
In tasca per ora ha un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Con quello studia, storia a Venezia, e lavora per mantenersi. Ma non è la stessa cosa che avere la cittadinanza italiana. Quella non ce l'hanno né lui che il 25 aprile era in piazza con i partigiani a leggere le lettere dei condannati a morte della resistenza italiana né suo padre che lavora alla Fincantieri, né sua madre.
"E' un paradosso, io in questo Paese non posso nemmeno votare".
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