giovedì 4 febbraio 2010

Palermo: Vivono tra i rifiuti e il Comune li tassa

Trenta famiglie nella favela di Palermo

Un talento della matita, Clarissa Ales, otto anni. Già, perché per disegnare il posto in cui vive da tre anni, disegna scarafaggi e topi, anzi toponi, con un realismo degno di un artista. Con baffi, code e orecchie. Sarà che li vede ogni giorno, questi compagni di strada, insieme con gli altri trentuno bambini che vivono nella baraccopoli di Palermo, a due passi dall'autostrada che porta verso Messina.

Un campo più disastrato di quello Rom: venticinque vecchi container dove d'estate si frigge e d'inverno si gela, le fogne a cielo aperto, la spazzatura ovunque, i bambini che entrano ed escono dagli ospedali con bronchioliti, infezioni della pelle, gastroenteriti, vomito e diarrea, le malattie della povertà. L'anno scorso Morena, una bimba di un anno quasi interamente vissuto lì, è morta per una malformazione cardiaca.

La vergogna della città, non lontana dalle dimore nobiliari del centro storico, dalle ville fuori porta dei ricchi. Entrarci dentro è come fare un salto verso una qualsia bidonville. Invece le ventidue famiglie che ci vivono dentro sono palermitane. Italiane. Il Comune le ha messe lì da quando, nel 2007, furono sfrattate dalla vecchia sede di un'Opera pia dove erano state accolte, dopo essere state sgomberate da case occupate abusivamente. Due, tre mesi, il tempo di trovare una soluzione, disse l'amministrazione.

E invece sono ancora lì. Ma adesso hanno alzato la voce, grandi e piccoli. I grandi dopo avere ricevuto, la settimana scorsa, i bollettini del Comune per pagare la Tarsu, la tassa della spazzatura. Cifre dai cento ai milleseicento euro. "Quasi non ci credevamo - dice Angela Cascino -, noi siamo costretti a viverci dentro alla spazzatura, altro che pagarla".

E anche i bambini hanno scelto di dire la loro. Con penne, colori, fogli di carta. "Quando usciamo ci mettiamo a correre perché i topi ci inseguono e se ci danno un morso muoriamo", scrive Manuela Marino, otto anni.

Lettere indirizzate al Comune. E il vicesindaco Francesco Scoma ha portato in consiglio la proposta, approvata, di dare ai senzatetto gli alloggi confiscati alla mafia, destinazione prima esclusa dal regolamento. Ma i tempi sono lunghi. Poi ha disposto che una vecchia sede comunale, vicina al porto, venga adattata per realizzare trentacinque stanze con bagni comuni. "Sempre meglio che stare in mezzo al fango", dice.

Ipotesi che i baraccati non prendono neanche in considerazione. Sostengono che usciranno dai container solo per un tetto vero. "Ma non esistono soltanto loro - replica il vicesindaco - ci sono ventimila persone nella vecchia graduatoria per un alloggio popolare e altre seicento nella lista dei casi più urgenti".

E sul fatto che la casa sia diventata la prima emergenza di Palermo non ha torto: il nuovo isolato in costruzione allo Zen, progettato con la caserma dei carabinieri, il poliambulatorio, l'asilo per bambini, è stato preso d'assalto e occupato da famiglie di disperati - per lo più giovani "coppie fuiute". Dopo un anno e mezzo di occupazione abusiva, sono state cacciate dal Comune due settimane fa, nella giornata più fredda dell'anno.

Le mamme sono rimaste sotto i balconi, con i neonati in braccio inzuppati d'acqua. Spariti i poliziotti, sono tornate a riprendersi quella che considerano la loro casa. Alloggi provvisori, usurpati, incompleti, ma comunque di cemento. Qui, nella baracche, è ancora peggio. Ma c'è chi sta peggio del peggio se l'altra sera gli occupanti hanno organizzato ronde giorno e notte per difendere due container minacciati da altre famiglie arrivate con i bambini in collo.

"Siamo disperati", hanno detto quelli. "Anche noi", hanno risposto.

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