La guerra in Afghanistan, quella iniziata il 7 ottobre 2001, ha provocato finora la morte di 43.000 vite umane.
La guerra ha moltiplicato quasi per quindici le vittime dell'11 settembre 2001. Come se le Torri a cadere giù fossero state 29.
La spedizione militare in Afghanistan ci costa 500 milioni di euro l'anno, il che significa quasi un milione e mezzo di euro al giorno.
Abbiamo speso in otto anni di conflitto oltre due miliardi e mezzo di euro e cosa abbiamo ottenuto con la "peacekeeping"? Se noi chiamiamo "peace" la situazione attuale tra mutilati, affamati e morti, come dovremmo definire la guerra o per dirla alla inglese la "war"?
Dopo otto anni gli afgani si ritrovano con un presidente fantoccio, Karzai, che ha imbrogliato almeno un milione e mezzo di schede elettorali e che, per avere i voti dei capi tribù, ha introdotto il diritto del marito di stuprare, violentare, picchiare e anche uccidere la moglie e le donne di sua proprietà.
È questo l'obiettivo per cui sono morti i militari italiani, inglesi, spagnoli, tedeschi, e americani?
Prima che arrivasse la guerra in Afghanistan i talebani erano considerati occupanti. Oggi il popolo sta con i talebani, che continuano a controllare il 97% del Paese, e si divide tra le varie tribù portando ad un aumento il potere dei signori locali della guerra che hanno imposto la loro legge e aumentato i loro affari con la coltivazione del papavero.
Gli Afgani non ci acclamano come liberatori perché abbiamo ucciso i loro mariti, i loro figli, i loro cari, perché può succedere che per errore gli americani uccidano 80 civili in un colpo solo durante i festeggiamenti di un matrimonio.
Noi in questa guerra non saremmo mai dovuti entrare semplicemente perché: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Ci ritroviamo impantanati in questa situazione a causa dell'ipocrisia di chi utilizza la parola: peacekeeping.
Se solo avessimo ascoltato i "Padri della Costituzione"...
Otto anni fa sarebbe bastato dire: "Noi non possiamo entrare in guerra, la Costituzione ce lo impedisce".
Oggi basterebbe ritirarsi. Possiamo restarci anche 500 anni lì con le armi, la situazione non si sbloccherebbe.
Vogliono farci credere che i militari della folgore sono andati in Afghanistan a costruire ponti e scuole e a regalare pennarelli e cioccolatini ai bambini, per esportare tutta la democrazia che eccede nel nostro paese in realtà da maggio le truppe italiane hanno ucciso almeno cinquecento "nemici" nelle battaglie combattute nell'ovest dell'Afghanistan con un massiccio impiego di carri cingolati ed elicotteri da combattimento e presto, come annunciato, avranno a disposizione anche le bombe sganciate dai Tornado.
Ci ritroviamo in uno scenario di Guerra imprevedibile dove non c'è nessuna pace da mantenere perché semplicemente la pace non c'è.
Siamo in guerra, a dispetto dell'articolo 11 della nostra Costituzione, per motivi esclusivamente economici e politici.
Fabio Mini, ex comandante del contingente Nato in Kosovo, ha recentemente dichiarato: "Ufficialmente lo scopo fondamentale, il center of gravity, della missione non è la ricostruzione, o la pacificazione né la democrazia: è la salvaguardia della coesione della Nato in un momento di crisi della stessa. Questo è lo scopo dichiarato, scritto nei documenti ufficiali della missione Isaf. La Nato è in Afghanistan esclusivamente per dimostrare che è coesa: lo scopo è essere insieme. Ecco perché gli Stati Uniti chiedono soldati in più: ma pensate davvero che manchino loro le forze per far da soli? Credete davvero che i nostri soldati o i lituani siano importanti? No! L'importante è che nessuno si sottragga a un impegno Nato. Ecco perché vengono chiesti continuamente uomini agli alleati".
Noi spendiamo 500 milioni di euro l'anno per salvaguardare la coesione Nato, alla faccia degli afgani.
Questi soldi equivalgono a 65 progetti Emergency in Afghanistan, sono 65 volte centomila pazienti curati ogni anno.
Poi possiamo anche continuare a prenderci in giro facendo finta che si tratti soltanto di burqa e di rasoi da barba.
La guerra ha moltiplicato quasi per quindici le vittime dell'11 settembre 2001. Come se le Torri a cadere giù fossero state 29.
La spedizione militare in Afghanistan ci costa 500 milioni di euro l'anno, il che significa quasi un milione e mezzo di euro al giorno.
Abbiamo speso in otto anni di conflitto oltre due miliardi e mezzo di euro e cosa abbiamo ottenuto con la "peacekeeping"? Se noi chiamiamo "peace" la situazione attuale tra mutilati, affamati e morti, come dovremmo definire la guerra o per dirla alla inglese la "war"?
Dopo otto anni gli afgani si ritrovano con un presidente fantoccio, Karzai, che ha imbrogliato almeno un milione e mezzo di schede elettorali e che, per avere i voti dei capi tribù, ha introdotto il diritto del marito di stuprare, violentare, picchiare e anche uccidere la moglie e le donne di sua proprietà.
È questo l'obiettivo per cui sono morti i militari italiani, inglesi, spagnoli, tedeschi, e americani?
Prima che arrivasse la guerra in Afghanistan i talebani erano considerati occupanti. Oggi il popolo sta con i talebani, che continuano a controllare il 97% del Paese, e si divide tra le varie tribù portando ad un aumento il potere dei signori locali della guerra che hanno imposto la loro legge e aumentato i loro affari con la coltivazione del papavero.
Gli Afgani non ci acclamano come liberatori perché abbiamo ucciso i loro mariti, i loro figli, i loro cari, perché può succedere che per errore gli americani uccidano 80 civili in un colpo solo durante i festeggiamenti di un matrimonio.
Noi in questa guerra non saremmo mai dovuti entrare semplicemente perché: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Ci ritroviamo impantanati in questa situazione a causa dell'ipocrisia di chi utilizza la parola: peacekeeping.
Se solo avessimo ascoltato i "Padri della Costituzione"...
Otto anni fa sarebbe bastato dire: "Noi non possiamo entrare in guerra, la Costituzione ce lo impedisce".
Oggi basterebbe ritirarsi. Possiamo restarci anche 500 anni lì con le armi, la situazione non si sbloccherebbe.
Vogliono farci credere che i militari della folgore sono andati in Afghanistan a costruire ponti e scuole e a regalare pennarelli e cioccolatini ai bambini, per esportare tutta la democrazia che eccede nel nostro paese in realtà da maggio le truppe italiane hanno ucciso almeno cinquecento "nemici" nelle battaglie combattute nell'ovest dell'Afghanistan con un massiccio impiego di carri cingolati ed elicotteri da combattimento e presto, come annunciato, avranno a disposizione anche le bombe sganciate dai Tornado.
Ci ritroviamo in uno scenario di Guerra imprevedibile dove non c'è nessuna pace da mantenere perché semplicemente la pace non c'è.
Siamo in guerra, a dispetto dell'articolo 11 della nostra Costituzione, per motivi esclusivamente economici e politici.
Fabio Mini, ex comandante del contingente Nato in Kosovo, ha recentemente dichiarato: "Ufficialmente lo scopo fondamentale, il center of gravity, della missione non è la ricostruzione, o la pacificazione né la democrazia: è la salvaguardia della coesione della Nato in un momento di crisi della stessa. Questo è lo scopo dichiarato, scritto nei documenti ufficiali della missione Isaf. La Nato è in Afghanistan esclusivamente per dimostrare che è coesa: lo scopo è essere insieme. Ecco perché gli Stati Uniti chiedono soldati in più: ma pensate davvero che manchino loro le forze per far da soli? Credete davvero che i nostri soldati o i lituani siano importanti? No! L'importante è che nessuno si sottragga a un impegno Nato. Ecco perché vengono chiesti continuamente uomini agli alleati".
Noi spendiamo 500 milioni di euro l'anno per salvaguardare la coesione Nato, alla faccia degli afgani.
Questi soldi equivalgono a 65 progetti Emergency in Afghanistan, sono 65 volte centomila pazienti curati ogni anno.
Poi possiamo anche continuare a prenderci in giro facendo finta che si tratti soltanto di burqa e di rasoi da barba.
Francesco Suraniti
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