domenica 10 ottobre 2010

A cosa serve una laurea

Non sono tempi tranquilli per il mondo universitario italiano. Mentre infuria la protesta in vari atenei italiani, e il ministro Tremonti promette nuovi fondi per la fine dell'anno, potremmo provare a guardare le cose un po' più in prospettiva, per valutare seppur sommariamente la rilevanza della formazione universitaria nel nostro Paese.

Si parte dal fatto che in Italia i laureati sono pochi. Circa il 14 per cento della popolazione tra i 25 e i 64 anni. Certo siamo andati avanti rispetto al 9 per cento del 1998, ma nello stesso periodo gli altri hanno corso di più: così la nostra distanza dalla media Ocse è salita da 12 a 14 punti percentuali.

Ma se passiamo a domandarci qual è l'incentivo alla laurea, cioè quali sono le motivazioni economiche o di altro tipo che possono spingere i giovani in questa direzione, il confronto internazionale è forse ancora meno incoraggiante.

Da noi un giovane laureato tra i 25 e i 34 anni può contare in media su un reddito da lavoro superiore del 24 per cento a quello di un di un diplomato. Altrove il "premio" è più alto: 36 per cento in Francia, 46 in Germania, 49 in Gran Bretagna e 65 negli Stati Uniti. Ma soprattutto, il differenziale è maggiore anche in Italia (46 per cento) per la fascia di età 55-64 anni.

Insomma laurearsi negli ultimi anni è risultato molto meno redditizio di quanto non lo fosse in passato. E infatti la retribuzione di ingresso di un giovane laureato è uguale in termini reali a quella di 30 anni fa. I giovani che si affacciano oggi sul mercato del lavoro sono quindi esclusi dai benefici della crescita del reddito occorsa negli ultimi decenni.

C'è un altro modo di guardare la questione: la laurea garantisce almeno un'occupazione più stabile, se non sicura? Sembra di no, ed anzi tra il 2008 e il 2009 solo il 25 per cento dei lavoratori dotati di un titolo di studio (diploma o laurea) è passato da un contratto a termine o una collaborazione ad un lavoro a tempo indeterminato (o autonomo-professionale): paradossalmente è andata meglio a chi non aveva un diploma di scuola media superiore, con una percentuale del 30 per cento. Magari quest'ultimo dato è influenzato dal particolare periodo di recessione, ma è comunque significativo.

"Gli studenti - argomenta il vice direttore generale della Banca d'Italia - vengono educati in una scuola con la testa ancora nel passato, ma il mercato chiede loro le competenze del 21° secolo. I giovani pagano con bassi salari e condizioni di lavoro precarie l’incompatibilità tra ciò che sanno e ciò che viene loro richiesto".

Mi permetto di aggiungere un'altra riflessione: forse appartiene al passato anche la visione con cui molti ragazzi e le loro famiglie guardano alla laurea, cioè come al famoso pezzo di carta dei tempi che furono. Quel modello non funziona più. L'università dovrebbe offrire più qualità, e gli studenti dovrebbero abituarsi a cercarla.
Luca Cifoni "Corri Italia, Corri"

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