martedì 3 novembre 2009

Pinocchio senza sfrontatezza. di Aldo Grasso

Lasciamo perdere il Pinocchio di Comencini (1972), lasciamo perdere il Pinocchio di Benigni (2002) e concentriamoci su questa ultima trasposizione firmata da Ivan Cotroneo e Carlo Mazzotta per la regia di Alberto Sironi.

Da sempre, i grandi lettori di Pinocchio raccomandano: bisogna leggere Le avventure di Pinocchio senza lasciarsi traviare da pedagogisti, sociologi e psicoanalisti. Il libro di Collodi va preso per quello che è: un raffinata e divertita replica in parodia di alcuni celebri episodi della grande letteratura, da un lato, e una spietata descrizione dell'uomo, dall'altro, colto nello stato di disagio più elementare: fame, cattiveria, sofferenza.

Perché allora cedere a tentazioni metalinguistiche (inserire lo scrittore Carlo Collodi all'interno della storia) e, peggio ancora, piegarsi al sociologismo d'accatto, allo psicologismo da rotocalco del padre che impara a conoscersi come padre? Ma per favore, Geppetto è un'invenzione unica e prodigiosa e, in quanto tale, va tutelata.

La Rai ripropone una delle storie più conosciute al mondo affidandosi a un cast eterogeneo: Alessandro Gassman (Collodi), Bob Hoskins (Geppetto), Violante Placido (Fata Turchina), Luciana Littizzetto (Grillo parlante), Maurizio Donadoni (Mangiafuoco), Thomas Sangster (Lucignolo), Margherita Buy (la maestra), Francesco Pannofino (il Gatto), Toni Bertorelli (la Volpe) e il dodicenne Robbie Kay (Pinocchio).

Dunque, da una gamba zoppa dello scrittoio di Collodi nasce metaforicamente il burattino di legno: per sfuggire agli eccessi pedagogici, la versione di Sironi punta molto sulla commedia, ma con un grillo-Littizzetto fuori parte, un Pinocchio antipaticuzzo cui si augura ogni sventura, e la maestra-Buy presa a prestito da De Amicis.

Questo Pinocchio manca di poesia, di sfrontatezza, del piacere della beffa. In una parola, di scrittura.
Aldo Grasso

E voi lo avete visto, vi è piaciuto, cosa ne pensate? Enzo Amato

Nessun commento:

Posta un commento